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Patrimonio culturale
Descrizione
La zona di Ceva, sin ora è stata trascurata da ricerche archeologiche, tuttavia ragionevolmente, si può ritenere essere stata abitata da tribù dei Liguri (Bagienni o Ingauni montani) fin dai tempi remoti. L'assoggettamento ai romani, avvenne sul principio del II secolo a. C. e testimonianze in proposito vennero ritrovate nei centri confinanti. Secondo l'interpretazione di alcuni storici, riferimenti a Ceva, sono stati scritti a proposito del formaggio che vi si produceva, (tume) da Plinio il vecchio (Naturalis Historia – libro XI cap. 42) e richiami ad una particolare razza bovina nominata Keva sono riportati da Columella (De re rustica – libro VI cap. 24). La romanità di Ceva è fatta discendere dalla interpretazione di questi due passi.
Gli abitanti di questa zona furono ascritti alla tribù Publilia e la villa, dovette essere compresa nella giurisdizione del Municipio romano di Albenga (Albingaunum) indi compresa originariamente nella sua Diocesi ed infine in quel Comitato. La mancanza di indagine non permette di esprimere alcunché a proposito della permanenza sotto i Longobardi stanziati nelle vicinanze, mentre la tradizione fornisce maggiori notizie sulle scorrerie saracene che probabilmente colpirono anche Ceva. Bisogna giungere al XI secolo per trovare scritti degli Arduinici che nominano Ceva facendola ritenere in loro possesso e compresa nella loro marca (almeno la parte della città allora posta sulla sinistra del fiume Tanaro).
Di certo, verso la metà del secolo XII appare in proprietà degli Aleramici, in particolare di Bonifacio del Vasto divenendo, verso il 1160, la capitale dell'omonimo marchesato. A quell'epoca già disponeva di un superbo castello nel quale è documentata la permanenza dello stesso Bonifacio del Vasto. I Ceva furono i feudatari che si susseguirono nel governo del marchesato che comprendeva alla sua origine oltre quaranta fra castelli e borghi. In quel periodo rivaleggiò con il comune di Monteregale tessendo alleanze politico – commerciali coi comuni di Asti, di Alba e coi loro Vescovi. Diedero in origine battaglia ad Albenga, loro antica terra d'origine e di potere. Sopraggiunti gli Angioini, parte degli esponenti dei Ceva e le loro terre si fecero assoggettare mentre il Nano (Giorgio II) restò alleato ad Asti in campo ghibellino. Le due fazioni si scontrarono in una dura guerra che vide la fazione guelfa, adunatasi in Monteregale, sconfitta, in parte bandita e sottomessa al Nano che per avere la supremazia vendette il proprio feudo alla repubblica di Asti nel 1295 venendone poi dai suoi consoli infeudato immediatamente dopo.
I discendenti di questo illustre personaggio perpetrarono la sistematica divisione del feudo fra gli eredi ad ogni generazione, di fatto indebolendosi notevolmente e perdendo la figura leader dello stato. Mantennero fin che fu possibile l'alleanza con Asti, potente comune ormai avviato alla decadenza. I Visconti dal milanese condussero una prima invasione del contado d'Asti e del marchesato di Ceva a metà secolo XIV. Ceva si ribellò dopo alcuni anni e riottenne la libertà che però non riuscì più a mantenere integra contro altri feudatari più potenti come i Savoia, il Monferrato ed infine gli Orleàns nel 1386, finendo sotto la loro direzione. Per quanto è documentato, la Città ottenne gli Statuti nel 1357 dopo la cacciata dei milanesi. Il numero dei marchesi Ceva a questo punto risultava talmente dilatato da non permettere nemmeno di discernere il ramo principale. Si organizzarono per questo nel 1408 in forma di Capitaneato che vedeva il governo del territorio turnare ogni sei mesi a due capitani scelti fra tutti questi marchesi. Nel 1414 i Savoia invasero il marchesato con truppe distruggendo diversi castelli fra i quali quello di Ceva, cittadina che nel frattempo era cresciuta per importanza, s'era dotata di mura e torri a difesa, di ponti sui fiumi e istituiva una zecca battendo moneta propria.
Nel 1531, l'imperatore Carlo V, durante le guerre d'Italia, omaggiò alla cognata, Beatrice di Portogallo e moglie di Carlo III di Savoia, la contea d'Asti ed il marchesato di Ceva che finirono praticamente nel ducato dei Savoia, che rimase per la prima metà del secolo XVI territorio di passaggio conteso fra Francia e Spagna per il dominio dell'Italia. L'Astigiano, le Langhe e Ceva erano di fondamentale importanza per il controllo delle comunicazioni con Genova e per questo attraversate da enorme quantità di truppe con tutte le conseguenze. Genova ritenne di finanziare la costruzione di una fortezza alla moderna che sbarrasse queste vie a Ceva e fu così che sorse il forte nel 1553. Forte poi ricostruito e ingrandito da Emanuele Filiberto e dal suo successore agli inizi del secolo XVII che si dimostrò di importanza strategica nella difesa dei confini meridionali dello stato e che ebbe fondamentale parte nel controllo delle strade che dalla Liguria permettevano l'approvvigionamento e la distribuzione del sale. Fu in quel periodo che Ceva ottenne il riconoscimento al titolo di Città.
A causa della presenza del forte, Ceva, oramai stabilmente nel ducato e poi regno del Piemonte sotto i Savoia, fu sovente nel corso del XVII e XVIII secolo invasa da truppe straniere. Il forte seppe quasi sempre resistere anche eroicamente ai vari assedi e la Città superare con gravissimi danni la sua situazione di particolare vulnerabilità alle alluvioni cui andò da sempre sottoposta nei secoli. Si ricordano in modo particolare quelle del 1331, 1584 e 1610 che risultarono essere le più disastrose con centinaia di morti ed altre sino all'ultima del 1994.
L'ingresso nello stato dei Savoia, significò anche il cambio della dirigenza che venne tolta ai Ceva e passata al nuovo governatore della città e marchesato Giulio Cesare Pallavicino dal 1547. A questa famiglia si deve la ricostruzione di un nuovo castello per residenza nella vecchia cittadella fortificata prospiciente la Città fra i due fiumi, Tanaro e Cevetta. Per alcuni anni, fu anche eretta a Provincia scorporando il territorio da Mondovì.
Da questa data in poi seguì le vicende del ducato di Savoia ottenendo sempre una posizione di elevato interesse proprio per la sua posizione strategica di confine col genovesato. Tempi durissimi per la Città si ripresentarono durante la guerra coi rivoluzionari francesi iniziata nel 1792, praticamente sino alla fine del periodo napoleonico. Ceva col suo forte, fu al centro dello scontro frontale fra i due eserciti e venne invasa, dopo alcuni anni di sforzi bellici notevoli come perno della difesa piemontese contro la furia dei rivoluzionari francesi, da Napoleone Bonaparte. Pagò un pesante contributo di guerra. Stazionarono a Ceva tanto Napoleone che il generale Colli, comandante piemontese, che resistette nella battaglia della Pedaggera per tutta la giornata del 16 aprile 1796 all'esercito francese. La ritirata notturna su S. Michele lasciò il forte in posizione isolata ma invitto, nonostante le intimidazioni francesi, dalla fermezza del suo governatore Tornaforte.
Nel 1802 la fortezza venne abbattuta per ordine di Napoleone stesso, dopo che fu ripresa ai francesi da una rivolta popolare. Al tempo della restaurazione, Ceva ritornò nel regno di Sardegna, in posizione meno eminente per la reggia di Torino, in quanto ormai privata della presenza del forte e, coi confini e le vie di comunicazione con Genova mutati, avendo privilegiato l'asse viario sfociante su Genova da Torino piuttosto che quello per Savona come nel precedente secolo.
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